Il Presidente, Prof. Vladimir Nanut: "La laurea non garantisce possibilità di impiego: servono competenze operative"
Intervista a cura di Silvia Iachetta
L’ASFOR, Associazione Italiana per la Formazione Manageriale, è stata costituita nel 1971 con lo scopo di promuovere nel nostro Paese la cultura manageriale e imprenditoriale.
Una visione di qualità, di internazionalizzazione, una visione lungimirante, che ha fatto dell’Asfor, un’associazione che rappresenta il fiore all’occhiello nel mondo della formazione.
Cercacorsiemaster ha intervistato il Presidente, nonché fondatore e Direttore Scientifico della business school di Trieste MIB School of Management, il Prof. Vladimir Nanut, per avere un’opinione autorevole sul legame tra il mondo della formazione e quello aziendale.
Qual è stato il ruolo e il contributo che l’Associazione ha conferito alla formazione in tutti questi anni?
Coerentemente con la propria mission, Asfor ha cercato di fare leva su moltissimi fattori con l’obiettivo di sviluppare la formazione manageriale in Italia. Abbiamo pubblicato due anni fa il volume “Quarant'anni di formazione manageriale. Ruolo e contributo di Asfor” dove abbiamo riassunto tutte le iniziative intraprese per cercare di potenziare la cultura manageriale nel nostro Paese.
Tra le iniziative più importanti va sicuramente segnalato il processo di accreditamento dei programmi Master e la partecipazione attiva di Asfor alle associazioni europee che definiscono gli standard di eccellenza a livello internazionale, che ha consentito all'intero sistema della formazione manageriale italiana di avere un collegamento forte e costante con le migliori esperienze al mondo.
L’Asfor è l'unica esperienza di certificazione qualitativa dei percorsi formativi realizzata nel nostro Paese?
In questi ultimi due anni ci sta provando l’Anvur (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca) che per il momento sta valutando soprattutto la qualità delle attività di ricerca delle università. Con i suoi 25 anni di attività nei processi di accreditamento, Asfor rappresenta comunque l’unica esperienza in Italia di valutazione qualitativa dei prodotti formativi, specificatamente dei corsi master di contenuto manageriale.
Su quali elementi si basa il vostro processo di accreditamento? Quali sono i principali requisiti e standard?
Come è noto, in Italia non c’è un vincolo giuridico per il termine master: ognuno può chiamare master anche un corso di tre giorni. Proprio per cercare di evitare confusioni e strumentalizzazioni riguardanti il concetto di master, Asfor ha ritenuto opportuno, a tutela dei partecipanti, ma anche delle aziende che eventualmente erano interessate a questi profili, definire quali erano i requisiti di merito che un serio corso/master doveva avere.
Ad esempio, per quanto riguarda la durata, si è stabilito che il master doveva essere un percorso con caratteristiche temporali tali da garantire un efficace processo di apprendimento. Il nostro sistema ha definito quindi criteri e standard relativamente ai contenuti del programma, al corpo docente, alle metodologie didattiche, alle strutture logistiche, ai servizi di supporto dei processi e così via. Aspetto importante sono poi i rapporti che la Scuola ha con il mondo delle imprese e che devono consentire, tra le altre cose, di sviluppare un processo formativo non di tipo accademico ma legato ai fabbisogni di competenze che il mondo aziendale richiede, in modo che i partecipanti al master fossero in grado di entrare nell’impresa ed essere immediatamente operativi.
Che poi è quello che manca alle nostre Università…
In effetti Asfor già 25 anni fa aveva messo, tra le caratteristiche fondamentali, l’obbligo di prevedere nel percorso master un periodo di attività, di stage nelle aziende di almeno 3 mesi.
Siete stati lungimiranti in questo…
Per Asfor era evidente che un’esperienza vissuta in azienda era fondamentale per la formazione. Il concetto che si possa imparare tutto in un’aula è sbagliato: il lavoro è altrettanto formativo come l’aula.
Avete indetto la VI edizione del Bando e-Talenti dell’e-Learning per la selezione delle migliori tesi universitarie che affrontano le tematiche dell’e–Learning e dell’e-Innovation. Si evince la vostra sensibilità ai cambiamenti e alle nuove tematiche che riguardano il mondo della formazione. Il web ha cambiato, in qualche modo, il mondo della formazione?
Non c’è dubbio che la formazione a distanza ha reso più facile anche la fruizione di alcune tematiche di management. Tuttavia, vi sono alcune tipologie di contenuti, come il change management o la leadership, che non possono essere fruite via web.
In generale, comunque, l’e-learning nelle sue varie forme è un settore che in Italia è ancora piuttosto trascurato, ragion per cui Asfor cerca di promuoverlo e di farlo crescere anche attraverso il bando citato.
Accreditate anche i master che prevedono formazione a distanza?
Il processo di accreditamento Asfor prevede anche una tipologia di prodotti master che vengono realizzati a distanza o in forma blended, cioè con parti svolte in presenza.
In questo momento economico molto difficile, dove la disoccupazione ha raggiunto livelli impressionanti, può la formazione manageriale offrire un valore aggiunto tale da avere risvolti positivi nel mercato del lavoro?
Assolutamente sì. In Italia abbiamo un gap di formazione manageriale che credo rappresenti un grave punto di debolezza. Le piccole e medie imprese, ad esempio, oggi stanno soffrendo, avvertono grandissime difficoltà a rapportarsi a quelle che sono le condizioni della competizione globale. Credo che se ci fosse stata una loro sensibilità a migliorare le competenze manageriali, ad assumere giovani preparati, se la formazione manageriale non fosse stata considerata un optional, probabilmente oggi reggerebbero molto meglio la crisi.
Anche per quanto riguarda la pubblica amministrazione, abbiamo un gap di competenze manageriali. La degenerazione burocratica è anche la conseguenza di un approccio sbagliato, un approccio molto formalistico, molto giuridico e poco gestionale. Manca una cultura dell’organizzazione, dell’efficienza, una cultura manageriale, una cultura della gestione delle risorse umane, del personale, che sia all’altezza delle esigenze di una moderna amministrazione.
In ogni caso la formazione manageriale potrebbe fare molto di più ed offrire nuove opportunità di lavoro alle giovani generazioni, in particolare anche con riferimento allo sviluppo di nuova imprenditorialità.
Quindi, il fatto che le aziende non investano in formazione dei dipendenti e in dipendenti formati, è una questione culturale più che economica? Mi spiego meglio. Spesso i giovani lamentano che nonostante siano “iperformati” non riescono a trovare lavoro e, a volte, è proprio una discriminante l’essere troppo formati. Qual è, secondo Lei, il problema?
Il tema è complesso. Prima bisogna vedere se questa “iperformazione” ha le caratteristiche funzionali a ciò che richiede il mercato del lavoro. Se si hanno anche quattro lauree, ma tutte in settori disciplinari tradizionali, si avranno forse grandi capacità astratte di ricerca, ma poche capacità di confrontarsi con i problemi reali che ci sono nelle imprese e nelle altre organizzazioni.. La laurea ormai non garantisce possibilità di impiego: servono soprattutto competenze operative.
È indubbio che da un lato il sistema accademico non si è aggiornato rispetto alle esigenze del mercato, dall’altro sono carenti i servizi di orientamento, non si spiega alla gente che non è il pezzo di carta che conta, ma sono le esperienze, e per acquisirle magari è opportuno andare anche all’estero. Ad esempio, oggi nel campo delle attività manageriali la conoscenza della lingua inglese è fondamentale: se non si sa l’inglese si è fuori dal mercato.
Con il costo del lavoro che oggi abbiamo in Italia, nessuno prende persone che non abbiano delle competenze specifiche: le aziende hanno bisogno di gente preparata. Le imprese leader di successo, sono quelle che hanno investito molto nel capitale umano, sono quelle che hanno adottato modelli organizzativi manageriali più efficienti. È chiaro che le imprese più sono povere, più competono soltanto sul lato dei prezzi e dei costi, e meno riescono a offrire posti di lavoro a persone qualificate.
Un altro problema è che le piccole imprese italiane sono prevalentemente imprese familiari, dove si preferisce utilizzare i membri della famiglia piuttosto che assumere persone con elevate competenze.
Da qui l’importanza di certificare la qualità dei percorsi formativi prevista dall’Asfor…
Esatto: Asfor ha cercato di accreditare quei corsi che consentivano di soddisfare i fabbisogni di competenze delle imprese. Non a caso, abbiamo inserito fra i requisiti di accreditamento l’obbligo di garantire l’inserimento nel mondo del lavoro almeno l’80% dei diplomati nei sei mesi successivi alla conclusione del percorso formativo: ciò consente di valutare se il master era progettato e realizzato in modo funzionale alle esigenze del mercato del lavoro, oppure era semplicemente un’aria di parcheggio.
Dovrebbe dunque essere rivisto il mercato della formazione?
Certo, il sistema formativo nel suo complesso deve diventare più efficiente. Io sono il fondatore di MIB School of Management, e in un anno le garantisco che nelle tematiche manageriali noi riusciamo a far apprendere molto di più di quello che si apprende in quattro anni di percorso universitari. I nostri master sono dei percorsi organizzati e strutturati in modo da velocizzare il processo di apprendimento, mettendo le persone nelle condizioni di applicare subito quanto hanno studiato in aula. Dal punto di vista delle metodologie didattiche il mondo accademico è spesso ancora fermo al secolo scorso. Inoltre è un sistema troppo autoreferenziale: i percorsi sono in genere disegnati sulla base degli interessi dei docenti piuttosto che delle esigenze del mercato.
Quali consigli darebbe ad un giovane che volesse seguire un master per avere più possibilità nel mondo del lavoro? Quali sono le competenze maggiormente richieste dalle aziende?
Intanto bisogna scegliere un master accreditato perché è un presupposto di qualità, ma non è una condizione sufficiente. Poi ci vuole passione, determinazione, ci vogliono caratteristiche personali che non si apprendono né in università né soltanto frequentando un master, ma attraverso un percorso di vita. Oggi le aziende vanno a vedere le tue caratteristiche personali: se hai voglia di fare, passione per il lavoro, curiosità, se hai fatto esperienze, se hai lavorato d’estate, se sei andato all’estero. Tutto ciò che fa esperienza. E’ questo che conta. Ormai si guardano le capacità, le skill, che sono frutto di una formazione complessiva, non solo scolastica. E poi, ovviamente, conoscere l’inglese. Noi ormai, da dodici anni, al MIB abbiamo i corsi in lingua inglese, perché nel campo del management è la “conditio sine qua non” per entrare nel mondo del lavoro.
Quale contributo possono fornire i portali sulla formazione, come, ad esempio, cercacorsiemaster.it?
Tutto ciò che aiuta a informare e, soprattutto, a orientare l’utenza potenziale, che rappresenti un trait d’union tra percorsi di formazione e gli utenti del mondo del lavoro, io credo che sia utile. È importante che crescano delle realtà che effettivamente si consolidino e diventino degli interlocutori visibili, credibili, affermati, evitando una polverizzazione di protagonisti.